La via del benessere secondo le Neuroscienze

Da un’idea di benessere passivo ad uno più attivo: la chiave del benessere siamo noi stessi.

In un’epoca di frenesia, di consumo, di orologi, di appuntamenti e di cose da fare, anche il concetto di benessere è cambiato. E’ diventato un termine imprecisato, un’aspettativa fugace, breve, istantanea, proprio quanto un like, da subire quasi passivamente.

Viviamo in una società dove l’idea di benessere che la popolazione ha, è un’idea di benessere passivo, intimamente legato intorno a quello di dipendenza.

Che sia di sostanze, alcol, gioco d’azzardo, cibo, tecnologie, di shopping, di un cuoricino sui social, di sesso, è irrilevante.

Sempre più persone ricorrono a psicofarmaci, ci siamo ormai abituati al sovraccarico di stress e parole come ansia e depressione ormai sono all’ordine del giorno. Ma anche i farmaci da banco, al minimo fastidio, giù a trangugiare la pillola magica per il mal di testa, per digerire, per il mal di schiena ecc. ecc. senza soffermarsi per un attimo a pensare al che cosa c’è che non va.

E’ come se queste sostanze fossero realmente intrise di una forza speciale in grado di donarci ciò che più bramiamo: un po’ di benessere (o anche solo un po’ di silenzio a volte può bastare).

In effetti, per qualche istante, non pensiamo a quelli che sono i fardelli della vita che ci attanagliano ma è un benessere momentaneo, che dura quasi quanto dura nel nostro cervello, il tempo di qualche scarica di neurotrasmettitori.

Alla fine, quello che l’essere umano ricerca è solo un po’ di benessere, un po’ di pace, un po’ di felicità, che in termini di neurochimica cerebrale può essere parzialmente ricondotta alla liberazione di determinati neurotrasmettitori ed ormoni.

E al cervello non importa davvero nulla se stiamo mangiando 1kg di cioccolata o se hai appena fatto un’emozionante passeggiata al tramonto. Di fatto, nel cervello, vengono liberate sostanze simili, e poi, magari in maniera neanche del tutto consapevole ci ritroveremo a rifare e ricercare nuovamente quelle esperienze, quelle sostanze, che hanno liberato nel cervello quelle sostanze, generando benessere.

Quello che è errato però è l’approccio a breve termine. Le sostanze magiche, siano esse cioccolata o eroina, hanno un enorme inconveniente: sono degli inutili cerotti su una ferita che necessita dei punti di sutura, delle cure, le nostre cure.

Il processo di cura e crescita di Se stessi, che porta al benessere, non può durare un istante, deve durare tutta la vita. E’ un processo di ricerca, un continuo stato da ricercare, un continuo percorso di cambiamento verso il miglioramento di se stessi e della qualità della propria vita.

Noi dobbiamo essere i protagonisti attivi nella costruzione del nostro benessere. Perché appena ci si sveglia dalla sbronza il mattino seguente, la vita farà ugualmente “schifo”. Se non cambia niente, probabilmente gli unici che possiamo davvero cambiare qualcosa siamo noi stessi, e si tratta di cambiare il nostro punto di vista.

Molte volte, la soluzione può essere ricercata nelle nostre origini. La mente ed il cervello sono sottoposti anch’essi alle leggi dell’evoluzione ma lo sviluppo della nostra specie è stato esponenziale, talmente tanto da rendere gran parte della società malata di stress. Questo accade perché percepiamo le richieste dell’ambiente come troppo alte e non sappiamo come farvi fronte. Quando vivevamo nelle caverne, solo pochi milioni di anni fa, ricercavamo il benessere esattamente come oggi, quello che è cambiato è che non avevamo i cellulari e non esistevano i supermercati e fastfood.

Esistevano dei momenti in cui semplicemente si stava lì, fermi, presenti nella natura, sentendosi parte di essa, in armonia.

Mentre ora invece bombardiamo il nostro cervello di immagini fino a pochi istanti prima di andare a dormire, non permettendoci un momento neanche per noi stessi. E se non ci sono i telefoni ci sono i pensieri. Non viviamo il presente, ingabbiati tra passato, futuro e il cercare di non pensare.

E poi, il cibo, dovevamo cacciarlo, dovevamo coltivarlo. Una faticaccia.

Adesso ci si può ingozzare direttamente dal divano, ordinando con un tocco del cellulare.

Non è un caso se abbiamo evoluto una preferenza per i cibi calorici d’altronde.

Se i nostri antenati non fossero stati golosi di mangiare uno gnu, non avrebbero fatto nessun sforzo fisico per procacciarsi il cibo e probabilmente ci saremmo estinti.

Quindi, si può dedurre che verosimilmente i nostri antenati erano soliti passare del tempo apprezzando il non fare ma anche facendo degli sforzi fisici.

Oggi, le neuroscienze, ci dicono che è proprio questa, la via del benessere.

L’allenamento fisico e la mindfulness sono due fondamentali pilastri del benessere, delle ottime strategie per fronteggiare le richieste ambientali sottoponendo l’individuo a fenomeni di plasticità anche in età senile.

Si è visto che l’attività fisica provoca fenomeni di neurogenesi, ossia nascita di nuovi neuroni in tre regioni distinte del cervello (vicino ai ventricoli cerebrali, in una porzione dell’ippocampo e nelle meningi). La neurogenesi è un fenomeno di plasticità cerebrale che nonostante comunque abbia in sé una componente genetica è fortemente influenzata dall’ambiente e dalle esperienze che facciamo (Mandolesi, 2021).

Queste modificazioni cerebrali si riflettono sul piano funzionale e delle competenze in un miglioramento delle abilità cognitive (mnesico ed esecutive) (Farioli, Vecchioli, et al. 2014) e negli aspetti prettamente psicologici come una miglior gestione degli stati emozionali.

Inoltre, provoca un innalzamento dei livelli di serotonina, aumenta i livelli di beta endorfine e vengono prodotti endocannabinoidi dopo un’attività fisica prolungata, nello specifico l’anandamide (Fuss et al. 2015). Si è osservato che l’attività fisica tende a prevenire e diminuire comportamenti d’abuso (alcol, fumo, gioco d’azzardo), che aiuta a scaricare le tensioni, ansie, stress, a regolare il bisogno di sazietà, e che ha un effetto antidepressivo, determinando una condizione di benessere raggiungibile anche nell’immediato (Mandolesi, 2021).

La Mindfulness invece, permette la possibilità di scegliere a come reagire alle sensazioni, emozioni, situazioni, pensieri che stiamo vivendo, senza cadere nei soliti automatismi di comportamento.

In numerosi studi fMRI sono stati confrontati i cervelli di individui che sono stati sottoposti al programma mindfulness MBSR con un gruppo di controllo ed è stata dimostrata che la meditazione provoca delle alterazioni strutturali e funzionali nel cervello (Holzel et al., 2010, 2011). I risultati hanno mostrato un incremento della materia grigia in numerose strutture cerebrali. E’ stata osservata anche una diminuzione dell’amigdala di destra, responsabile di connessioni di carattere ansiogeno e pauroso. I meditatori esperti (con oltre 2000 ore di pratica), presentano un maggior spessore della corteccia prefrontale responsabile delle funzioni esecutive (pianificazione, problem solving, attenzione, regolazione emotiva).

La meditazione quindi può aiutare a mediare la risposta in parte automatica dell’amigdala che arriva persino a ridursi a favore di una risposta più ragionata, grazie al potenziamento ed ampliamento della corteccia prefrontale mediale. Oltre alle modificazioni strutturali e funzionali cerebrali, si ha un aumento della dopamina e serotonina, riduzione del cortisolo e della noradrenalina, una maggior integrazione delle informazioni cerebrali tra i due emisferi.

Ci vuole impegno, ci vuole pazienza. Ma perché continui a scegliere di non stare bene?

Prendi in mano il tuo benessere, non c’è nulla di più importante!

Autore
Dottoressa Jessica Altadonna

BIBLIOGRAFIA

Farioli-Vecchioli, S., Mattera, A., Micheli, L., Ceccarelli, M., Leomardi, L., Saraulli, D., Costanzi, M., Cestari, V. Rouault, J.P. e Tirone, F. (2014). Running rescues defective adult neurogenesis by shortening the length of the cell cycle of neural stem and progenitor, in “Stem Cells”, 32, n. 7, pp. 1968-1982.

Fuss, J., Steinle, J., Bindila, L., Auer, M.K., Kircherr, H., Lutz, B. e Gass, P. (2015). A runner’s high depends on cannabinoid receptors in mice, in “Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States Of America” 112, n. 42, pp. 13105-13108.

Holzel, B.K., Carmody, J., Vangel, M., et al. (2011) Mindfulness Practice Leads to Increases in Regional Brain Gray Matter Density. Psychiatry Research: Neuroimaging, 191, 36-43. Approfondisci

Mandolesi, L. (2021). Manuale di psicologia generale dello sport. Bologna: il Mulino.